Paola Cortellesi imita il Ministro Gelmini

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giovedì 25 settembre 2008

Riforma della scuola: un contributo ed una proposta per Corato

Un contributo del prof. Gaetano Bucci.
di La Redazione
Timidamente e in modo piuttosto improvvisato anche a Corato si comincia a parlare della riforma della scuola della neo-ministra Mariastella Gelmini. Esigenze di carattere generale e aspetti della politica nazionale si intrecciano con considerazioni sulla scuola nel nostro territorio e a Corato con spunti originali ma improduttivi sul piano degli interventi concreti.
Per questo desidero, dopo il pezzo su «Eventi & Commenti» di luglio in cui ho parlato del “declino della scuola” e stimolato da due recenti pezzi apparsi sul sito CoratoLive.it, affrontare con qualche considerazione il tema della “riforma Gelmini” incrociandolo con alcuni dati e aspetti della scuola locale.
La prima considerazione che bisogna fare è che se si affronta la “questione scuola” partendo da basi “ideologiche” non si va da nessuna parte. In tal caso dovremmo non solo delegittimare chi governa, ma anche la recente storia italiana. Il che è evidentemente un errore. Ed è proprio quello che la sinistra ha da sempre fatto, considerando l’istruzione, specie quella della scuola superiore e dell’università, come una sorta di “feudo ideologico e riserva culturale” da cui attingere forza e consenso, specie quando è all’opposizione.
Questa impostazione è caduta non perché Berlusconi abbia vinto le elezioni più volte negli ultimi anni, ma per il semplice fatto che essa è “slegata” dalla concretezza storica. Tanto è vero che i maggiori errori nella gestione della scuola italiana sono stati commessi negli ultimi lustri proprio da ministri di sinistra come Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro, che, tra l’altro, erano “esperti” del settore.
Un altro limite dell’impostazione alla critica che oggi si muove alla Gelmini è quello di doversi regolare sul punto di vista dei sindacati, specie di CGIL-CISL-UIL, che da oltre vent’anni sono stati una sorta di “grande lobby” o “clientela organizzata” dei partiti di centro sinistra all’interno della scuola. Basti pensare che la contrattazione nazionale è regolata dalla loro cosiddetta “forza di rappresentanza”, che di fatto, purtroppo per loro, non supera complessivamente il cinque per cento dei lavoratori della scuola.
Detto questo oggi per parlare della scuola bisogna emendarsi da pregiudizi di tipo ideologico e politico e guardare la realtà, evitando, dall’altro lato, di cadere nella logica opposta della piaggeria verso chi è al governo del paese e non dovrebbe “giocare” col futuro formativo dei giovani. Bisogna, pertanto, fare critica libera e, soprattutto obiettiva. Fare proposte concrete e senza condizionamenti, tenendo conto di ciò che effettivamente non va nella scuola italiana attuale.
Il punto di partenza, ormai lo sanno tutti, è la concreta ed effettiva situazione di “arretratezza e inadeguatezza”, misurata direttamente sulle conoscenze e competenze medie degli studenti, e, indirettamente su una serie di altri elementi che, viceversa, non vanno imputati ai ragazzi, ma al contesto formativo e, soprattutto, alla incapacità dello stato di organizzare il sistema scolastico, farlo funzionare, controllarlo e intervenire per correggerlo nei punti critici.
Questi sono i veri punti di partenza e su di essi bisogna sviluppare una riflessione “onesta e severa”insieme. Altrimenti si cade nella solita “melassa ideologica” o nell’interesse di parte, nella asfittica prospettiva di singoli partiti e sindacati, nel calcolo bieco di piccole lobby e negli egoistici interessi personali di periferia, specie di quelli che si annidano tra le pieghe dei singoli istituti scolastici.
Detto questo, se si guarda attentamente a ciò che la Gelmini sta proponendo questi giorni, si osserva che in parte il suo approccio è in continuità con quanto già il ministro Giuseppe Fioroni, anche lui di matrice cattolica, aveva cominciato a fare, e cioè sopperire ai bassi livelli qualitativi della “formazione-istruzione”.
La parte di discontinuità espressa dalla Gelmini si trova invece dove il precedente ministro, condizionato dai molti interessi ideologici, partitici e sindacali, non poteva di fatto operare. Ovvero nell’individuare, molto giustamente e opportunamente, la necessità di una “razionalizzazione” della spesa e nell’indirizzare le risorse non solo verso “insegnanti e presidi”, ma verso l’efficienza del servizio e l’efficacia dell’azione formativa.
D’altra parte, per esempio, come si fa a negare che le maggiori risorse assegnate alla scuola negli ultimi anni, sia dal governo centrale attraverso i fondi d’istituto e altre provvidenze, sia dall’Europa attraverso gli ingenti fondi di sviluppo nazionale e regionale, non hanno prodotto alcun miglioramento delle conoscenze degli studenti, e che, spesso, è avvenuto proprio il contrario?
Come si fa a negare, sempre per stare nell’esempio, che i famosi “fondi d’istituto” non sono andati a premiare i professori più bravi, ma quasi sempre solo i più furbi, che non hanno premiato le scuole migliori ma solo quelle più “traffichine”?
Come si fa a negare che gli stessi dirigenti scolastici, quelli che sostengono che “la scuola non è un’azienda” e che “uno studente non è un pezzo da catena di montaggio”, hanno, proprio loro, cavalcato il “bisogno” dei progetti più per un fatto pubblicitario, per una vana questione d’immagine e, talvolta, anche di tornaconto personale, piuttosto che per un’esigenza effettiva degli studenti?
Come si fa a negare che questi ultimi e le loro famiglie con l’autonomia, quella che doveva liberare dall’oppressione statalista, anziché avere più voce in capitolo nella vita delle scuole, sono stati ricacciati ai margini delle decisioni e hanno dovuto “sorbirsi” astrusi piani formativi, insegnamenti e indirizzi di studio mai scelti, progetti stravaganti, interventi didattici strampalati e incoerenti con quello che a loro effettivamente serve per proseguire negli studi o per trovare lavoro nella vita?
E’ vero che l’insuccesso di un sistema formativo non dipende solo dalla scuola e che sono molti i fattori che incidono, ma oggi tocca di provvedere a sistemare ciò che “nella scuola non funziona”. Non ci sono scuse, né tanto meno vuoti “sociologismi”. Per fare ciò bisogna partire da valutazioni “endogene” del cosiddetto “mal di scuola”, e mettere sotto accusa non l’autonomia in quanto tale, ma questa sorta di “confuso e indistinto anarchismo” gestionale, organizzativo e amministrativo che sta generando mostruosità che nulla hanno a che fare con i principi costituzionali del diritto all’istruzione e della libertà di insegnamento.
A questo punto ci vuole più stato, più controllo, più eteroferenzialità, più correzioni del sistema, più razionalità nelle applicazioni normative.
Se proprio la dobbiamo dire tutta è stata proprio una certa “cultura dell’irresponsabilità”, maturata all’interno della scuola, in primis da parte di certi insegnanti ipocritamente sindacalizzati e presidi “falsi dirigenti”, che ha distrutto negli ultimi vent’anni le conquiste degli anni Settanta che dovevano portare ad un sistema di grande partecipazione democratica della scuola.
Non sono stati forse i sindacati di CGIL-CISL-UIL, tanto per fare un solo esempio, che hanno distrutto gran parte dei diritti acquisiti dai professori negli anni Settanta e Ottanta, a cominciare dal divieto di sciopero contrabbandato con “obbligo dei servizi minimi garantiti”?
Tutti gli organi collegiali, le assemblee, le commissioni e gli istituti di garanzia nella scuola sono ormai poco più che “fantasmi”, organismi “formali” senza una capacità di vero indirizzo e controllo del sistema. Anche le rappresentanze sindacali d’istituto non sono nella maggior parte dei casi che piccoli centri di potere particolare senza nessun aggancio alle esigenze dei lavoratori della scuola e ai loro diritti, anche in funzione del servizio da rendere agli studenti.
E’ allora evidente che a fronte di tale situazione dire che bisogna decidere solo “dal basso”, come ha detto Vito De Leo, è come dire una bestemmia ed è fare pura demagogia, perché proprio “dal basso” sono venuti molti guai.
Venga, per esempio, il prof. De Leo oggi al Collegio dei Docenti della mia scuola, l’Istituto Statale d’Arte di Corato, e veda che cosa si decide “dal basso”. Un bel niente. Anzi meno che niente. Afasia totale!...
C’è invece bisogno di riprendere in mano la situazione e augurarsi che “dal basso” maturi una nuova etica della responsabilità, ma nel frattempo è bene e opportuno che qualcuno “dall’alto” cominci a sistemare le cose.
Per questo credo che le proposte della ministra Gelmini, che pure su singoli punti sono discutibili, aprano ad un metodo nuovo e che contengano novità di notevole rilevanza per il “funzionamento del sistema”. L’approccio di non considerare l’intervento governativo nella scuola solo come intervento sociale ma come investimento economico è senza dubbio positivo per il futuro stesso dei giovani. E, al punto in cui siamo giunti, non mi sento di respingerlo.
In tale prospettiva sono condivisibili una serie di misure che mettono fine a tanti sprechi, come, tanto per fare alcuni esempi, quelli di costosi e inutilizzati laboratori, di un’infinità di indirizzi di studio, dispersivi e poco funzionali alla formazione di base, di corsi serali in cui il numero dei docenti supera quello dei discenti, di un esercito di personale ausiliario che spesso più che svolgere servizi crea disservizi.
Come pure sono condivisibili gli investimenti nella formazione dei docenti e nelle tecnologie di supporto all’insegnamento. L’attribuzione delle risorse sulla base di “costi standard dei servizi” e non di “costi storici” dove si sono annidati veri e propri privilegi, zone franche di vero e proprio parassitismo scolastico, come avviene oggi a tutto favore di pessime scuole tecnico-professionali a discapito degli istituti liceali dove invece c’è maggior bisogno di formare studenti che siano centrali per qualificare il futuro socio-economico e scientifico del nostro paese.
Su questi punti e su come essi possono “parametrarsi” nelle scuole di Corato si dovrebbe aprire subito un dibattito pubblico sostenuto da tutti, in primis dall’Amministrazione locale e dai singoli Dirigenti scolastici, e attivamente partecipato da docenti, studenti e genitori.
Spero che ciò avvenga, magari sotto forma di una “grande conferenza cittadina”, e che, in quella sede, si scoprano un po’ le carte e possano trovarsi strade nuove per rendere meno aleatorio il diritto (ahinoi diventato “sogno”) dei giovani, anche di quelli di Corato, ad una scuola effettivamente capace di aprire ad un futuro migliore».

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