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domenica 2 novembre 2008

Riforma Gelmini-Tremonti: the day after

31 ottobre 2008 Molfettalive.it
Nella serata di ieri lungo il Corso Umberto la “Festa-protesta” di docenti e genitori contro la riforma scolastica
di Lorenzo Pisani
Chi si aspettava, a riforma approvata e a solenni funerali celebrati con tanto di bara feralmente portata in corteo, che docenti e genitori ingoiassero l’ennesimo, il più amaro, boccone sarà certo rimasto deluso.
«Non ci arrendiamo così, continueremo a combattere per far valere i nostri diritti» esclama un’insegnante ieri sera presente alla cosiddetta “Festa-protesta” contro la riforma della scuola, organizzata dal Coordinamento insegnanti – genitori per la Difesa della Scuola Pubblica lungo un Corso Umberto insolitamente ricco di festoni e palloncini.
Non mancano anche i manifesti che illustrano le ragioni di una protesta composta, misurata, che ha unito distribuzione di volantini, raccolta firme e proiezioni di filmati ad attività ludiche e ricreative rivolte ai bambini, i più penalizzati secondo i manifestanti dalla riforma della scuola approvata mercoledì.
Un’atmosfera giocosa che, però, non ha mascherato il dissenso di genitori e insegnanti d’ogni ordine e grado, dalla scuola elementare all’università.
«Ciò che ci ha colpito è stata l’inaspettata collaborazione tra docenti di diversi circoli, la condivisione di quest’atmosfera di mobilitazione – afferma Grazia Abbascià del Coordinamento, già impegnata nella mattinata nel volantinaggio durante il mercato settimanale -; questa riforma non farà altro che condurre il mondo della scuola verso l’appiattimento totale».
«Come farà un maestro a gestire 29 alunni?» si chiede un altro insegnante, Ignazio de Marco che analizza le ragioni che nel 1990 portarono all’introduzione dei tre insegnanti nelle scuole elementari, il cosiddetto “modulo”.
La riforma allora non fu varata dalla politica, ma da un’apposita commissione che raccoglieva rappresentati del Sapere e soprattutto fu graduale.
Il paragone con l’attuale riforma calata dall’alto, dal Palazzo, è stridente: «La scuola del maestro unico allora era sotto processo per l’inadeguatezza ai tempi e per le difficoltà legate alla gestione degli alunni». A distanza di quasi vent’anni la società è ulteriormente mutata e questo non farebbe che complicare «il ritorno del maestro unico attorno al quale graviteranno delle figure (insegnati di educazione fisica, informatica, inglese) che però non sostituiranno gli attuali tre insegnanti.
La riforma ha un preciso disegno politico: si vuole far diventare la scuola come un ospedale che cura i sani e rifiuta gli ammalati. La definizione di Don Milani è quanto mai d’attualità». In questo disegno s’inseriranno le fondazioni private che, secondo De Marco, non potranno non applicare le dinamiche d’impresa legate al profitto anche nel campo dell’istruzione.
Fortemente critici anche i Cobas con Gaetano Magarelli che invita a considerare le conseguenze della diminuzione dell’orario scolastico e della chiusura degli istituti specie nei paesi più piccoli: «stiamo preparando una generazione di piccoli pendolari». I Comitati di base sono preoccupati anche per un’altra legge, la cosiddetta “Aprea” che interverrà «sugli assetti del sistema scolastico, prevedendo cambiamenti ad ampio raggio».
Un progetto di legge che prevede consigli d’amministrazione al posto dei consigli di circolo e d’istituto, la possibilità per le scuole di trasformarsi in fondazioni, un nuovo percorso di formazione iniziale e di reclutamento e di carriera degli insegnanti che vanno dal docente iniziale, docente ordinario e docente esperto, l'indizione di concorsi da parte di ciascuna istituzione scolastica.
Elementi che secondo i manifestanti trasformeranno radicalmente il governo delle istituzioni scolastiche: «Vengono completamente cancellate e riscritte le norme sugli organi collegiali di scuola e nazionali, fortemente ridimensionata la contrattazione nazionale, cancellata la rappresentanza sindacale di scuola, istituita una rappresentanza sindacale unitaria regionale per i docente e l'area contrattuale della docenza da cui restano esclusi gli ATA».
Nel finale, il pensiero di Piero Calamandrei citato in uno dei manifesti. Il giurista e politico toscano già nel 1950 ipotizzò un disegno per far perdere di autorevolezza la scuola pubblica e così incentivare quella privata.
Con meno fondi, con meno ore, con meno attività didattiche, con meno attenzione agli alunni la sua previsione secondo alcuni assume il tono sinistro di una profezia.

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